Nel momento in cui scriviamo questo articolo siamo a 108 giorni di viaggio, partiti da Santa Maria di Leuca e arrivati a Torino.
1896 km di esperienze, di conferme, di nuove consapevolezze, che sono andate a sommarsi al nostro bagaglio di conoscenze sui cammini italiani.
Crediamo sia tempo di tirare qualche somma, con riguardo ad uno dei punti cardine del documentario che vorremmo produrre al termine di questo viaggio, la tanto a noi cara “interconnessione dei Cammini”.
Quando abbiamo scelto di NON percorrere un’unica via per arrivare da Santa Maria di Leuca a Finisterre, ma più cammini intreconnettendoli tra di loro, lo abbiamo fatto perché crediamo che i cammini SONO un patrimonio di tutti, di chiunque abbia voglia di mettersi uno zaino in spalla e camminare 50, 100, 1000, 4000 km, indipendentemente dalle motivazioni personali, indipendentemente dalle “etichette” di pellegrino, viandante, camminatore, esploratore.
E, quindi, “dimostrare” che è possibile spostarsi da un luogo ad un altro, a passo lento, utilizzando strade diverse, secondo noi può aiutare le tante persone che ancora hanno un dubbio sulla decisione di mettersi in cammino durante le proprie ferie, vacanze, periodi sabbatici, sul fatto se si sia in grado, se sia necessaria una preparazione o delle conoscenze particolari dei territori.
Si badi bene, “dimostrare” inteso come “documentare”, “verificare”, “attestare”, che esistono più cammini che tra loro sono interconnessi; sappiamo bene che l’interconnessione per molte di queste vie ha radici antiche, come nel caso ad esempio delle “Vie della Transumanza”.
E’ lontana da noi l’idea di aver scoperto qualcosa di nuovo, quello che di nuovo vorremmo documentare, camminando noi stessi queste vie, è se l’interconnessione dei cammini, oggi, è qualcosa alla portata di tutti, senza essere necessariamente “dei fenomeni”, dei profondi conoscitori di mappe e cartografia; e dall’altro lato, dare agli ideatori dei cammini, a chi se ne prende cura, ne fa la manutenzione, ci vive e lavora, quale è l’immagine che arriva al viandante, l’aria che si respira, se il territorio è consapevole del movimento lento generato da un cammino che lo attraversa, se il pellegrino si sente accolto dalla comunità, se i servizi esistenti sono abbastanza ed in linea con le aspettative del camminatore.
Insomma, l’idea è attestare lo “stato dell’arte”, non inventare nulla ma fare una fotografia di cosa accade oggi sui cammini, in Italia prima e poi in Francia e Spagna.
L’Italia
Spesso sentiamo fare paragoni tra i Cammini italiani e il Cammino di Santiago.
C’è una grande differenza che pensiamo vada presa in considerazione. Sui cammini spagnoli ci sono tante partenze differenti che arrivano ad un’unica meta finale, Santiago de Compostela.
In Italia, al contrario, abbiamo tantissimi cammini che hanno quasi tutte partenze differenti e quasi tutti destinazioni differenti.
Insomma, un dedalo di vie che a nostro avviso ancora non hanno trovato una sistemazione effettiva come “rete di cammini”, così come invece accade già in Spagna da svariati anni.
Crediamo quindi che, allo stato attuale, questi paragoni siano privi di valore, fuorvianti e soprattutto facciano disperdere molte energie.
Ci sono luoghi oggi in Italia, per lo più nella dorsale appenninica, che sono inaccessibili o che hanno il grande problema dello spopolamento. Anche in Spagna alcuni paesi oggi attraversati dal Cammino di Santiago erano disabitati o bassa densità abitativa; con l’incremento della rete infrastrutturale e del turismo lento tutti questi luoghi sono tornati a vivere e a generare a loro volta economie.
Non basta solo che i cammini siano interconnessi (ciò che accade, in molti casi, da sempre), ma bisogna rendere fruibile questa interconnessione; ciò significa anche promuovere la cultura della “bidirezionalità”: cammini percorribili in entrambi i sensi di marcia per favorire lo spostamento delle persone in lungo e in largo lungo la nostra penisola.
Tutto questo a nostro avviso significa essere in grado di progettare una rete capace di sviluppare quello che si ricerca nei paragoni con il Cammino di Santiago. Significa proporre un nuovo modello di sviluppo del turismo lento ed un progetto nazionale di promozione, anche all’estero, di un sistema Paese capace di stare al passo con i tempi.
Quello che abbiamo verificato in questi mesi “sul campo” è che sicuramente la segnaletica rappresenta un problema ostativo per la realizzazione di questa idea di movimento.
Perché un viandante possa fruire appieno della interconnessione di più Cammini occorre una segnaletica che sappia indicare, in maniera omogenea, quali cammini sono alla portata di “piede” e dove poterli “agganciare”. Una segnaletica che indichi i chilometri mancanti alle tappe intermedie e finali; chi percorrere i cammini ha necessità di sapere dove si trova, quando e dove ha la possibilità di ristorarsi, come progettare le tappe in base alle proprie esigenze.
Abbiamo verificato che molto spesso, invece, la segnaletica è carente; troppo spesso si incontrano adesivi a segnare la via, o segnali non omogenei, con colori diversi, oppure senza l’indicazione dei km, spesso neppure dei prossimi paesi che si attraverseranno e della tappa che si sta percorrendo. Sappiamo che per segnare i Cammini ci vogliono molti soldi, ma riteniamo che sia indispensabile una sorta di immagine coordinata e integrata capace di supportare chi cammina non costringendolo, molto spesso, ad usare le tracce gpx.
Se le persone hanno a disposizione 30 giorni di ferie e decidono di andare a per percorrere il Cammino di Santiago, ci chiediamo: “Perché anche in Italia non si convogliano gli sforzi per rendere fruibili percorsi interconnessi tra vari cammini italiani, che permettano di attraversare il Paese e godere dei beni naturali, storici, paesaggistici, culturali?”.
Altro tema a nostro avviso ostativo allo sviluppo del “sistema cammini italiano” è qualcosa che ha origini molto lontane, che ci riporta alla mente quelle che vengono definite diseguaglianze sociali, concetto a noi molto caro, ma che oggi si tenta da più parti di non “vedere”.
I ricchi e i poveri, quindi.
Pensando al nostro viaggio fino ad oggi, completamente autofinanziato con i nostri risparmi, possiamo con sicurezza argomentare che, con le dovute eccezioni che abbiamo incontrato e che sbaglieremmo a non citare, camminare in Italia è costoso, se si ha in mente l’idea che il viaggiare a piedi sia sinonimo di viaggio low cost.
Costi eccessivi per delle accoglienze per lo più non adeguate alle necessità dei pellegrini. Il viandante è un viaggiatore che si sa adattare, che ha bisogno di un letto, di una doccia e ogni tanto di una lavatrice per fare il bucato; di un ospitalero che lo accolga con un bicchiere d’acqua fresca all’arrivo e non il frigo con minibar in camera.
Costi eccessivi anche per mangiare. Inesistente, nella maggioranza dei casi, il menù del pellegrino.
Pochi o inesistenti i servizi essenziali per raggiungere i luoghi di partenza di molti cammini; basti pensare al sud Italia che purtroppo paga il fatto di avere pochissime infrastrutture ma che, come nella nostra esperienza sui Cammini Materani, non ha nulla a che invidiare ai cammini del nord Italia.
Ecco, quello che a noi è arrivato forte è la mancanza di una visione e progettualità comune Tante volte abbiamo sentito “Io” e pochissime volte “Noi”.
Tante volte ci è sembrato di assistere ad una guerra dei numeri per accaparrarsi il titolo in classifica di primo, secondo, terzo cammino italiano.
Basterebbe essere uniti. Basterebbe applicare il concetto che l’”Unione fa la forza” e non, come accade spesso, il “Forte fa l’Unione”. Concetto che in alcuni cammini abbiamo vissuto perché creati con un movimento dal basso, dall’unione di più attori sul territorio, non Cammini calati dall’alto per mera volontà “politica”.
Ecco, la nostra riflessione vuole essere: “Perché non provare a trasporre questa visione delle cose a tutto il territorio italiano?”. “Perché non cercare di mettere da parte gli interessi personali iniziando a credere che ce n’è davvero per tutti e che “la mera cura del proprio orticello” non fa bene al sistema dei cammini italiani perché non crea nel lungo periodo valore per i territori?”.
Abbiamo documentato in questi 100 giorni e più l’incapacità di diversi cammini di sviluppare il territorio che attraversano, la non conoscenza del loro territorio, la sciattezza della segnaletica ma anche tante cose belle, come la rinascita di territori grazie al Cammino, giovani che hanno scelto di aprire strutture fruibili a donativo o a cifre contenute.
Abbiamo vissuto e documentato la forza di volontà delle persone colpite dalle calamità naturali, che continuano ad andare avanti, rimanendo sul territorio e continuando nonostante tutto a fare impresa. Abbiamo visto e sentito la gioia di vivere il Cammino da parte di tanti pellegrini e viandanti che si sono rimessi finalmente in cammino.
Perché le cose belle esistono. Ma vanno alimentate, incoraggiate e soprattutto sostenute!
Al momento, solo in Italia, abbiamo interconnesso 13 Cammini differenti, attraversato 9 Regioni in quasi 110 giorni. Se non avessimo avuto il supporto di molte persone, se non fossimo stati accolti, ospitati o semplicemente aiutati per piccole cose come l’offerta di un caffè, oggi non saremmo a meno di 100 km dal confine italiano.
Continueremo ad interconnettere Cammini in Francia, dove percorreremo il GR653D e il GR653 sino al confine spagnolo. In Spagna interconnetteremo il Cammino Aragonese, Il Cammino Francese e il Cammino di Finisterre.
Stimiamo, alla fine del viaggio, di riuscire a camminare e a interconnettere tra loro 18 Cammini differenti, per un totale di 4400 km.
Interconnettere i cammini, le esperienze, i territori ci sembra la migliore forma per promuovere il grande patrimonio dei Cammini, in Italia e all’estero.
Ultreya!
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